Come ho costruito la dashboard analytics senza vendere l’anima a Google
Nel cuore oscuro del web, dove ogni tuo click è spiato da un’entità invisibile che sa più cose su di te della tua stessa madre, ho deciso di dire basta. Ed eccomi qui,
Sono pazzo? Forse. Ma ora posso guardare negli occhi i fanatici della privacy e dire: “Sono libero, fratelli!”
Il problema con le analytics standard
Prima di raccontarti come ho fatto, facciamo un bel reality check: il 99% dei siti usa Google Analytics. Perché? Perché è facile, potente e gratuito. Ma gratuito significa solo una cosa: i dati sei tu. Ogni visita al tuo sito diventa un’offerta sacrificale a un algoritmo oscuro che decide chi vedere, chi oscurare e chi deve essere sommerso di pubblicità su sturalavandini e cripto-truffe.
Le alternative? Ci sono, ma spesso sono poco documentate, complicate da implementare o semplicemente non abbastanza robuste per un utilizzo serio. E poi, diciamocelo, la comodità è un’arma a doppio taglio: ti fa restare legato a soluzioni che ti fanno sentire sicuro, mentre in realtà stai cedendo pezzi della tua anima digitale senza nemmeno accorgertene.
Quindi mi sono detto: “E se facessi di testa mia?”
Risposta breve: una settimana di battaglie. Risposta lunga: continua a leggere.
Missione impossibile: costruire un sistema di tracciamento da zero
Spoiler: non volevo reinventare la ruota.
Quindi ho:
- Usato Supabase come database perché mi serviva un posto dove salvare i dati senza spedirli alla CIA.
- Creato API custom su Vercel per raccogliere gli eventi in tempo reale.
- Costruito una dashboard pubblica, perché l’unica cosa che voglio nascondere su questo sito sono i miei fallimenti (e nemmeno tutti).
- Ottimizzato il tracking degli eventi per raccogliere solo i dati essenziali, senza impelagarmi in metriche inutili che fanno sembrare tutto più figo ma che, alla fine, non servono a nulla.
- Testato fino allo sfinimento per assicurarmi che non ci fossero bug, falle di sicurezza o momenti di instabilità imbarazzanti.
Il risultato? Una dashboard bella, funzionale e completamente mia. Puoi vederla in tutto il suo splendore qui: 404 Analytics 🎛️🔥
Errori, fail e momenti di puro terrore
Ovviamente, non sarebbe stata un’avventura epica senza un po’ di tragedia.
- Errore #1: Variabili d’ambiente maledette. Ho scoperto che esporre le chiavi API per errore è un ottimo modo per farsi hackerare in 10 minuti.
- Errore #2: Supabase ha deciso di scioperare. Un giorno tutto funziona, il giorno dopo le query sono più lente di un modem 56k nel 2003. Ho passato ore a cercare il problema, solo per scoprire che era dovuto a un’impostazione nascosta che nessuna documentazione menzionava.
- Errore #3: Scelte di design discutibili. Per un attimo ho pensato di usare Comic Sans per i grafici. Sono quasi finito nella lista nera di Internet.
- Errore #4: Debug infinito. Avere il pieno controllo sui propri dati è bellissimo, finché non devi passare giorni a risolvere problemi che un tool preconfezionato avrebbe gestito con due click.
- Errore #5: Maledetta cache. Nulla mi ha fatto più impazzire che vedere la dashboard mostrare dati vecchi perché il browser decideva di tenerli in memoria come un nonno nostalgico degli anni ‘90.
Ma alla fine, dopo aver litigato con Vercel, combattuto contro i JSON, sfidato la cache e sacrificato qualche ora di sonno, eccomi qui. Con una dashboard che funziona.
Il futuro dell’analisi dati ribelle
Cosa ho imparato?
Il bello di tutto questo? Ora posso monitorare il traffico in modo etico, sapere quanti utenti visitano il sito e cosa fanno, senza doverli trasformare in cavie da esperimento per il Grande Fratello Digitale. Ho il pieno controllo, e questo vale più di qualsiasi feature avanzata che Google potrebbe offrirmi.
Ovviamente, il lavoro non finisce qui. C’è sempre spazio per migliorare, aggiungere nuove metriche, magari creare un’interfaccia ancora più intuitiva. Ma per ora, posso dire di aver vinto una battaglia importante nella guerra per la privacy digitale.
Se vuoi vedere il mio capolavoro, lo trovi qui: 404 Analytics. E se hai un tuo sito, prova anche tu a liberarti dalle catene del tracciamento invasivo.
Oppure puoi continuare a usare Google Analytics e sperare che un giorno non venga a bussarti alla porta chiedendo indietro qualcosa. Spoiler: lo farà.