2025-03-31

Scoraggia i motori di ricerca (e pure la tua carriera)

“Il noindex è come il glitter: basta un tocco e te lo ritrovi ovunque per mesi.”
– Anonimo pentito in cerca di traffico organico

Il problema più diffuso dopo le password scritte su post-it

Hai finito il sito. È bellissimo. Animazioni fluide, testi ottimizzati, pagine leggere come insalata vegana. Lo pubblichi. Applausi. Champagne. Il cliente ti manda vocali pieni di cuoricini. Poi… il nulla.

Google non ti vede. Nessuno ti trova. Il sito è praticamente un ninja del web, ma senza il fascino. E la causa?
Quel simpatico checkbox di WordPress che dice:
“Scoraggia i motori di ricerca dal visualizzare questo sito.”

Perché no, non è un consiglio. È una maledizione in formato opt-in.

“Il vero pericolo non è l’intelligenza artificiale, è WordPress con le spunte messe a caso.”
– Isaac Asimov, probabilmente

Quando il noindex ti segue in produzione come un virus intestinale

Tu, ingenuo, copi il sito di staging e lo metti in produzione. Perfetto. Ma ti porti dietro anche quel metatag infame:

<meta name="robots" content="noindex, nofollow">

E puff, il tuo sito sparisce da Google più velocemente di un etico nella Silicon Valley.

Sintomi:

“Se pubblichi un sito con noindex, ma nessuno lo trova… è mai esistito?” – Zen e l’arte della SEO distrutta

Scenario da incubo (basato su eventi realmente accaduti)

  1. Lavori per settimane su staging.sitodeldisastro.com
  2. Tutto figo, tutto indicizzabile… ma no! È staging, quindi noindex attivo. Giusto.
  3. Copi tutto in www.sitodeldisastro.com.
  4. Deploy. Festa. Pizzette.
  5. Una settimana dopo: “Ma perché non siamo su Google?”

Spoiler: perché il tuo sito urla “NON GUARDARMI” con una tag HTML. E Google è educato, quindi ti ignora come il tuo ex dopo 12 messaggi vocali.

Come evitarlo (oltre a non lavorare mai più con WordPress) Checklist antipanico per il deploy:

Se sei un dev vero, automatizza il controllo. Se sei un dev finto, stampa questo articolo e leggilo ogni sera.

“La differenza tra un sito vivo e uno morto? Una riga di metadati.” – Socrate, durante un debug

Google ti perdona? Sì, ma solo se piangi in ginocchio

Rimuovi il noindex, vai su Search Console, chiedi la reindicizzazione e spera che l’oracolo ti ascolti. Ma attenzione: Google ti terrà d’occhio. Sa cosa hai fatto. E no, il cache: non ti salverà.

Nel frattempo, il tuo sito ha il ranking di un forum su Splinder nel 2005.

“Google ha buona memoria. Ma pessima fiducia.” – Manuale del dev pentito

Conclusione: il noindex è il nuovo default del fallimento

In un mondo dove pure i frigoriferi hanno una pagina LinkedIn, tu pubblichi un sito e dici a Google:

“Per favore, ignorami.”

E lui obbedisce. Perché è un algoritmo. Ma tu no. Tu sei umano. E hai sbagliato.

“Chi scoraggia i motori di ricerca scoraggia la vita.” – Vangelo secondo John Mueller

TL;DR

Se non vuoi essere il protagonista del prossimo episodio di “Disastri Digitali”, allora controlla il noindex. Sempre. Anche se sei certo. Soprattutto se sei certo.

Perché il problema non è l’AI, né Google. Il problema sei tu, che fai deploy il venerdì pomeriggio con le dita incrociate.





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